Mi considero un pacifista fin dall’adolescenza, ma non mi sono mai sentito realmente rappresentato dalle visioni etico-spiritualiste o nonviolente che spesso egemonizzano questo pensiero. Ritengo infatti che la lotta per la pace sia anzitutto relativa al dato socio-economico. La coesistenza pacifica fra i paesi è infatti la conditio sine qua non per costruire non solo la democrazia socialista a cui aspiro assieme alle compagne e ai compagni del Partito Comunista, ma anche per sviluppare un ordine mondiale basato sulla cooperazione piuttosto che sulla sopraffazione dei paesi poveri o sul saccheggio delle risorse naturali. Pace e cooperazione sono insomma il binomio necessario per realizzare un mondo multipolare che permetta una equa ridistribuzione della ricchezza e uno sviluppo economico sostenibile.
Detesto il conformismo, eppure al momento della leva militare non obiettai. Solo dopo qualche giorno di scuola reclute alla caserma La Poya di Friborgo, capii che non potevo rendermi complice del militarismo svizzero colluso con la NATO e che, fin dai primi giorni in divisa, ci insegnava a simpatizzare per le missioni all’estero. L’11 luglio 2001 rifiutai gli ordini e, dopo varie peripezie, fra cui la minaccia di finire davanti a un tribunale militare, fui licenziato dal servizio e fui successivamente ammesso al servizio civile. Ho prestato così circa 300 giorni inizialmente con ragazzi portatori di handicap in un laboratorio presso le Officine FFS, poi in un’associazione in difesa dei consumatori e, infine, in una casa per anziani dove ho molto imparato sulle condizioni di lavoro di inservienti e infermieri. Da allora il mio impegno a favore dei diritti dei ragazzi obiettori di coscienza è aumentato e, a ogni inizio di scuola reclute, sono decine i coscritti che aiuto a far uscire dalle caserme. Sto pure scrivendo un libro contro l’obbligatorietà del servizio militare, che è un po’ un mito del nostro Paese: personalmente credo che una milizia volontaria sia la strada da percorrere per il futuro del nostro Paese, che un giorno vorrei vedere smilitarizzato.
La mia partecipazione al Movimento Svizzero per la Pace (MSP), sezione del Consiglio Mondiale della Pace, è dovuto alla consapevolezza che la guerra è un fenomeno direttamente legato all’espansionismo di stampo imperialistico. Se si vuole realmente cambiare le cose non basta, insomma, fare un discorso etico e umanitario come troppa parte della sinistra occidentale si è ridotta a fare, al contrario occorre agire sulle cause. A differenza di altri movimento pacifisti, il MSP è dichiaratamente anti-imperialista, si impegna per garantire la sovranità e l’integrità territoriale degli Stati e si rifà ai principi fondamentali espressi dal Movimento degli Stati Non Allineati (MNOAL).
Nel 2011, il giorno del mio compleanno, mi trovavo a Rimini per il Congresso dei Comunisti Italiani. Lì conobbi un personaggio straordinario: si chiamava Gianfranco Bellini. Dal passato burrascoso nella Banda del Casoretto, temuto servizio d’ordine antifascista degli studenti della Statale di Milano, Gianfranco era diventato un esperto di finanza e di geopolitica, e ha lanciato con noi un progetto per costruire una nuova idea di cooperazione triangolare che tenesse in considerazione i paesi emergenti, i cosiddetti BRICS e promuovesse un nuovo internazionalismo, che superasse il folklore dei gruppi anti-capitalisti rimasti al palo e il cosmopolitismo socialdemocratico. Nell’anno – o poco meno – che ci frequentammo, prima della sua morte improvvisa, Gianfranco ha lasciato in me dei segni profondi. L’Associazione Nuova Cooperazione è uno dei frutti di questa collaborazione.
L’America latina è un laboratorio politico eccezionale: la Cuba di Che Guevara e Fidel Castro ha resistito e oggi nuovi esperimenti rivoluzionario stanno concretizzandosi: dal Venezuela bolivariano di Hugo Chavez e Nicolas Maduro, all’Ecuador della Rivoluzione cittadina di Rafael Correa, passando per la Bolivia pluri-nazionale di Evo Morales. Possiamo avvicinare il popolo svizzero a questi paesi? Possono i lavoratori, gli studenti, le donne, e i vari settori della società spesso lasciati ai margini imparare da quanto avviene in questi paesi che nel frattempo si sono uniti nell’ALBA? La convinzione che questo sia fattibile mi ha spinto ad aderire alla costituzione dell’Associazione ALBA SUIZA e di esserne eletto membro di Direzione.